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Riusciamo ancora a socializzare?

Qualche anno fa mi capitava di frequentare, due o tre volte al mese, la Capitale.

Questa assidua frequentazione mi ha portato a cercare dei punti di riferimento stabili: stesso albergo, aperitivo al bar del Salone Margherita, cena alla trattoria dal cavalier Gino nei pressi di Montecitorio e fine serata in una locale nella zona del Pantheon.

Risultato: mi ha portato a stringere una forte amicizia con le persone che lavoravano in quei locali (titolare, camerieri, alcuni frequentatori abituali) perché quando ci si trova a distanza di molti chilometri sentirsi come in famiglia, a casa, era, per me, importante se non fondamentale.

Tutto questo mi ha fatto maturare una riflessione: in un mondo diventato “mordi e fuggi” si riesce ancora a ricreare questo spirito? Mi pare proprio di no perché il nostro mondo oggi vive a “testa bassa” rifuggendo lo sguardo altrui, chinandosi solo su smartphone e tablet, viviamo isolati inglobati nel tessuto sociale.

Anche per dialogare abbiamo creato un mondo virtuale parallelo.

Le domande mi sorgono spontanee. Possiamo fare ancora qualcosa per invertire questa tendenza?

Riusciamo a recuperare un minimo di socialità in più? Si tratta del rischio di contrarre una malattia contagiosissima per la quale non esiste rimedio, la “socializzazione”? Penso che sempre più rischiamo di ritrovaci “soli in mezzo a tanta gente”.

L’evoluzione tecnologica è importate ed essenziale, il rimanere al passo con i tempi assolutamente necessario ma difendere il nostro essere “uomini” e “donne” reali altrettanto assolutamente necessario. Pensiamoci, però, prima che sia troppo tardi e non riusciamo più a porre rimedio.

Paolo Coelho afferma: “L’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni”.

Magari guardandoci negli occhi…

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