Torino misteriosa: San Pietro in Vincoli, storia di un cimitero e di un fantasma
Il Cimitero di San Pietro in Vincoli, che sorge isolato dopo il complesso del Cottolengo, entra a far parte della “Torino Misteriosa” per due motivi: in quanto luogo venivano seppelliti i condannati a morte e la leggenda del fantasma di una principessa russa.
Contestualizzazione storica
Nel 1779, a seguito della disposizione normativa che vietava, per motivi igienici (alla difficoltà di convivenza tra vivi e morti andò a sovrapporsi il diffondersi di epidemie che saturarono i cimiteri parrocchiali), la pratica delle inumazioni presso le chiese, il re Vittorio Amedeo III, dispose la costruzione di appositi cimiteri per la sepoltura dei defunti. Era antica consuetudine, in quei tempi, seppellire nelle chiese perché vi era la credenza che la vicinanza al luogo sacro agevolasse la salita verso il Paradiso.
Alla disposizione del sovrano si associa la carta pastorale dell’arcivescovo torinese mons. Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, datata 25 novembre 1777, che andava a recepire la regia volontà di definire aree idonee alle sepolture e alla cessata inumazione nei luoghi di culto, carta pastorale che anticipa di circa un mese (23 dicembre 1777) una disposizione che fa obbligo al vicario di Torino di recepire la regia volontà.
Fu così che si diede avvio alla costruzione, affidata all’architetto della Real Casa Francesco Valeriano Dellala di Beinasco, del primo cimitero localizzato fuori dalla cinta muraria cittadina (in realtà i cimiteri furono due, il secondo intitolato a San Lazzaro detto anche cimitero della Rocca oggi scomparso, opera sempre del Real architetto e gemello di San Pietro in Vincoli).
Dall’architettura tipica del Settecento, il cimitero aveva in origine uno spazio centrale adibito a ossario, intorno a esso quarantaquattro pozzi per le salme dei poveri senza bara e le cripte delle famiglie nobili, disposte lungo i portici che corrono sui tre lati del perimetro. Esternamente vi erano due zone separate: una destinata ai giustiziati e ai boia e l’altra ai suicidi, ai non cattolici e ai non battezzati. L’area su cui sorge nel 1775 era stata acquistata dal Comune per 5.000 lire circa dai fratelli Ressio.
Il nuovo cimitero era però di piccole dimensioni e risultò in pochi anni sovraffollato oltre che carente dal punto di vista sanitario poiché d'estate i cadaveri, essendo seppelliti in modo caotico e approssimativo, emanavano un fetore intollerabile per gli abitanti delle zone vicine.
Dal 1829, con la costruzione del cimitero monumentale, il cimitero di San Pietro in Vincoli cadde in uno stato di disuso e pochi anni dopo fu chiuso al pubblico. Nel 1852, a seguito dello scoppio della polveriera del vicino arsenale militare il cimitero subì gravi danni e nel 1854 venne decisa la sua abolizione anche come cimitero dei giustiziati. Le sepolture nelle cappelle private ebbero luogo ancora sino al 1882.
Inoltre fu duramente colpito durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale (incursioni aeree dell’8-9 novembre 1942 e del 12-13 luglio 1943) che distrussero l’alloggio del cappellano e le corsie cimiteriali. Nel 1945 San Pietro in Vincoli venne chiuso.
Per lungo tempo fu oggetto di vandalismo, profanazioni e teatro di messe nere; nel 1988 venne radicalmente ristrutturato. Gran parte dei resti dei cadaveri (tranne le cripte del prato centrale che sono state sigillate) sono stati trasferiti al cimitero monumentale.
Attualmente l'area del cimitero è adibita a luogo di eventi culturali e spettacoli teatrali.
Il fantasma della principessa
All'ingresso del cimitero una piccola cappella funeraria ospitava al suo interno una statua di stile neoclassico denominata “La morte velata”, in pratica una figura di donna con volto coperto da un velo che le conferiva l'aspetto di un fantasma con sembianze femminili.
Tale statua fu realizzata nel 1794 dallo scultore Innocenzo Spinazzi in commemorazione della prematura morte (1792) della ventottenne principessa russa Varvara (o Barbara) Belosel'skij, moglie di Aleksandr Michajlovič Belosl’skij-Belozerskij, ambasciatore russo presso la corte sabauda.
Nel 1975, a seguito dei danni causati dai vandali alla statua e al degrado in cui versava la cappella, la Velata fu trasferita, su decisione dell'ufficio tecnico del comune di Torino, nei sotterranei della Mole Antonelliana: attualmente è esposta alla Gam (Galleria d’Arte Moderna).
Qual è la storia della principessa russa?
Nel 1792 alla corte di Torino arrivò la splendida principessa, Varvara Belosel'skij, moglie dell’ambasciatore russo. La giovane amava divertirsi, interessarsi di moda e fare lunghe passeggiate sulle sponde del Po, fiume che lei amava tanto ma che l’avrebbe uccisa. Una salute delicata e cagionevole abbinata con l’aria insalubre del corso d’acqua e l’umidità procurarono alla principessa una malattia di petto che la portò, nel giro di pochi mesi, alla morte: era il 25 novembre 1792 e Varvara aveva solo 28 anni, tre bambini e un marito.
L’ambasciatore, come monumento funebre, commissionò una statua di candido e purissimo marmo che rappresentava la moglie con il volto coperto da un velo; fece poi aggiungere un’epigrafe (poi trafugata con il danneggiamento della statua): “Oh sentimento! sentimento. Dolce vita dell'anima. Quale cuore non hai mai colpito? Quale sfortunato mortale cui non hai offerto il dolce piacer di versar lacrime? E quale è l'anima crudele che, di fronte a questo monumento così semplice e pietoso, non si raccolga con malinconia e non perdoni generosamente i difetti dello sposo che l'ha innalzato?”
La leggenda vuole che di notte il fantasma della giovane principessa passeggi ancora intorno al cimitero, e che qui porti i suoi inconsapevoli amanti. Immediatamente dopo la collocazione della “Velata”, il cimitero fu teatro di fatti strani: in tanti ammisero di aver udito pianti di dolore che provenivano dalla statua mentre c’era chi affermava di aver visto una donna bellissima, dai capelli biondi e un volto d’angelo, aggirarsi inconsolabile tra le tombe, donna vista più volte lungo le sponde del Po, sempre disperata e piangente, per poi sparire improvvisamente, come inghiottita dal fiume. La leggenda narra che la donna apparirebbe esclusivamente a giovani uomini, forse alla ricerca del suo amato sposo; Varvara li sedurrebbe conducendoli fino al luogo in cui riposano i suoi resti mortali per poi sparire. Enrico Biandrà, tenente di artiglieria, fu uno dei testimoni di queste apparizioni: non sapendo che si trovava di fronte a un fantasma se ne innamorò.
Già nell’Ottocento iniziarono dei veri e propri pellegrinaggi da parte di appassionati di occultismo e questo avvenne fino alla traslazione della statua.
Ma nel piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli, nelle notti di luna piena, il fantasma della Velata si aggira ancora tra le lapidi in cerca dello sposo.
Una curiosità
Inizialmente il cimitero era chiamato “del Santissimo Crocefisso”, prendendo il nome da una cappella costrutita dal Dallala prima del 1775. Però in dialetto veniva soprannominato “San Pé dij còi” (San Pietro dei cavoli) perché nelle vicinanze si trovava la chiesetta di San Pietro e i campi coltivati a cavoli, i còi appunto. L’assonanza della parola Vincoli con Coj portò a trasformare il nome in Vincòj.