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La Rotta del Mistero

È il luogo in Italia, c’è chi dice in Europa, maggiormente infestato dai fantasmi.

La Rotta, tra Moncalieri e Villastellone, a due passi dall’autostrada per Savona e a poche centinaia di metri dalla statale per Cuneo. È qui, in mezzo a una spianata piena di rovi e fossi, che sorge uno dei castelli più enigmatici del Piemonte.

Lunedì, mattinata libera, decido di fare un salto al vecchio maniero e vedere se ci sia qualcosa di vero nelle innumerevoli leggende che narrano di dame vestite di nero, monaci dediti a culti satanici, nobili suicide, cavalieri templari e persino un Re, Vittorio Amedeo II, che qui morì pazzo il 30 ottobre 1732 dopo che il figlio, Carlo Emanuele III, lo aveva fatto arrestare, che sotto forma di ectoplasma, si manifesterebbero agli sventurati passanti che avessero l’ardire di avvicinarsi al castello.


Arrivo in auto dalla statale, vedo il castello, svolto e imbocco la vecchia stradina costellata di buche. Improvvisamente, per incanto, i rumori delle auto che sfrecciano sulla vicina autostrada e sulla dirimpettaia statale scompaiono: si entra magicamente in un ambiente ovattato, fuori dal tempo, senza rumori. Come se il castello si trovasse in una dimensione

Altra. Parcheggio la mia scassatissima Punto. Scendo dall’auto. Un leggero brivido mi corre lungo la schiena. Suggestione? Forse. Mi avvicino al portone – sbarrato - e noto subito delle scritte inneggianti alla presenza tra noi comuni mortali del Maligno. Iniziamo bene, penso. Prendo il cellulare per fare qualche foto e noto che la batteria è praticamente a zero. Resto basito: l’avevo ricaricata poco più di mezz’ora prima. Doveva essere più o meno al 100%. “Qualcosa” o, peggio, “Qualcuno” ne ha assorbito l’energia? Mi riprendo dallo stupore e inizio a ragionare. Se il castello fosse un luogo forte Magnetico e di Potere posto sull’intersezione di qualche Linea di Forza? Questo potrebbe spiegare il continuo manifestarsi di Entità di ogni tipo, nonché la batteria scarica del mio smartphone. Ai piedi del portone d’ingresso al castello noto due piccole colonne di granito. E se fossero due antichi menhir? I menhir venivano posti sulle intersezioni delle Linee di Forza, anche vicino a corsi d’acqua per attingerne l’Energia Vivente e qui siamo proprio nei pressi della confluenza tra il Po, il torrente Banna e il rio Stellone. Mi avvicino a una delle colonne è noto che nel mezzo è stata incisa una Croce Patente. I Templari! Esulto.


Ripercorro mentalmente la storia del castello.

L’attuale struttura del castello della Rotta fu edificata nel 1452 su un precedente edificio appartenuto ai Templari di Testona che nella zona avevano parecchie Commende, per iniziativa del Gran Priore degli Ospitalieri, Giorgio di Valperga, discendente del Re d’Italia Arduino d’Ivrea. La Rocca aveva una enorme importanza strategica, sorgendo nei pressi del ponte sul Banna a guardia dell’antica via romana per Pollenzo e sulla direttrice della strada di Francia. Il nome Rotta dovrebbe derivare da rotta, intesa come sconfitta militare, visto che nelle vicinanze, durante la guerra civile tra madamisti e principisti, il Principe di Carignano

Tomaso Francesco, antenato dei Re d’Italia di Casa Savoia, subì una cocente sconfitta nel 1639. Secondo fonti diverse il toponimo Rotta discenderebbe da rotha, ovvero foggia irrigatoria. Per altri Rotta verrebbe da rotta degli argini, cioè luogo senza limiti/luogoaperto, visto che il castello sorge in mezzo a una piana sconfinata. Un’ultima ipotesi vorrebbe che il toponimo derivi da via rupta/via rotta, cioè la rotta delle navi: il corretto percorso che si deve fare per giungere sicuri in un porto. È questo, penso, il significato che, forse, meglio si addice al maniero. Un luogo dove intraprendere un percorso iniziatico, dove ingaggiare la rotta della Conoscenza che possedevano i Templari. Mentre viaggio col pensiero, ho un sobbalzo e, istintivamente, getto lo sguardo verso una delle bifore sopra l’ingresso. Ho avuto la netta sensazione di essere osservato. Forse era il Monaco che qui fu murato vivo nel ‘400? O la dama in nero che nelle notti d’autunno vaga per le campagne circostanti? Oppure Re Vittorio Amedeo II? Se fosse il Templare di cui, anni fa, trovarono le ossa e i resti del suo cavallo nel fossato del castello? Lo stesso Cavaliere che, giurano gli abitanti della vicina frazione di Tetti Sapini, si aggira per il paese, senza meta, nelle ghiacciate notti invernali in sella al suo destriero. Per scoprirlo bisognerebbe ritornare qui la notte di Sant’Antonio, tra il 12 e il 13 di giugno, quando, secondo le locali tradizioni, tutti gli spiriti, compresi quelli dei soldati morti nelle decine di battaglie che qui si sono svolte, si ritroverebbero per una processione rituale.


Decido di rientrare alla base. Alcune foto sono riuscito a farle con una macchina di riserva. Guardo l’orologio. Sono passate due ore! Avrei giurato che fossero trascorsi poco più di dieci minuti. Ho perso la cognizione del tempo, o il luogo altera il “normale” scorrere del tempo?

Dando un ultimo sguardo in giro noto lo stemma dei Valperga posto sulla facciata del castello. È un capro. Subito la mia mente mi porta ad associare il capro al Dio Cornuto, il Cernunnus dei Celti. L’antico Dio che era venerato in tutta Europa, soprattutto nelle zone rurali, prima che si imponesse il Cattolicesimo.

Se i Templari de la Rotta e, successivamente gli Ospitalieri, fossero stati, in realtà, i custodi dei Segreti e della Conoscenza dell’antico culto dei Celti che, magari, qui veniva ancora praticato? I due pilastri/menhir all’ingresso del maniero sembrerebbero suggerire questa ipotesi: la Rotta quale luogo Sacro degli Antichi abitanti della valle del Banna?

Inoltre, sembra che, a detta di alcuni, a la Rotta appaia anche il fantasma della Bela Rosin, l’amante e moglie morganatica di Re Vittorio Emanuele II, che, secondo varie fonti, sarebbe stata Sacerdotessa di antichi culti celtici tuttora praticati in svariate zone del Piemonte. Niente, qui, sembra a caso.


Mentre la mia mente si perde in quest’altra associazione di idee e pensieri, mi sento nuovamente due occhi addosso. Mi volto di scatto. È un gatto. Nero, ovviamente. Mi osserva e corre via. Se fosse il Principe delle Tenebre in guisa di felino? Meglio non indagare oltre.

Salgo sulla mia auto e parto. Appena imboccata la statale finisce la magia. Irrompono prepotenti i rumori e i suoni dei veicoli che sfrecciano sulla via che porta a Torino. Vengo catapultato nuovamente nel trambusto quotidiano. L’incanto si è spezzato. Guardo il castello allontanarsi e penso che, tutto sommato, ho passato una mattinata nel Sogno.


La Rotta del Mistero è tracciata.

Roberto Maggio













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