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Torino misteriosa: piazza Carlina e il suo fantasma

Torino, come del resto tante altre realtà italiane, pullula di fantasmi di cui l’esistenza, a volte, è stata accertata mentre in altri casi sono solo suggestive credenze popolari.

Ne sono interessate: case, castelli, palazzi… e a volte anche le piazze: e proprio a una di queste piazze dedico il mio articolo della Torino Misteriosa di oggi. La sua vera intitolazione è “Piazza Carlo Emanuele II” ma per tutti, ancora oggi, dopo secoli, è “Piazza Carlina”: le origini trovano fondamento nel fatto che a Carlo Emanuele II venne affibiato dai torinesi questo nomignolo per i suoi modi effeminati.

Torino, Piazza Carlina (foto di Fabrizio Capra)

Il duca Carlo Emanuele II (Torino 1635-1675) era figlio di Vittorio Amedeo I e Cristina di Francia (la prima Madama Reale, figlia di Enrico IV).

La piazza risale al 1674, il progetto porta la grande firma di Amedeo di Castellamonte e il suo “nome popolare” risale già all’epoca della sua realizzazione.

Inizialmente era previsto uno spazio ottangolare per un egual numero di isolati destinati a palazzi nobili ma il fallimento del progetto immobiliare spinse alla forma quadrangolare.

Un editto datato 1678 destinò la piazza a mercato del vino.

Sulla piazza si affacciano interessanti costruzioni: la chiesa di Santa Croce (disegno di Filippo Juvarra) con campanile in stile orientale e facciata tardo ottocentesca; il palazzo Roero di Guarente la cui facciata è dello Juvarra; il Collegio delle Province che fu progettato da Bernardo Antonio Vittone ora è occupato dalla Caserma dei Carabinieri; la casa ex Regio albergo di Virtù che dal 1919 al 1921 fu abitata da Antonio Gramsci, all’epoca segretario della sezione socialista torinese. Nel XVIII secolo sulla piazza e nell’isolato adiacente si sviluppò il ghetto ebraico. Il centro della piazza è dominato dal monumento a Camillo Benso conte di Cavour, opera del 1872 di Giovanni Duprè, che tiene nella mano un cartiglio riportante la scritta “Libera chiesa in libero stato”.

copertina libro Piera Rossotti Pogliano

Durante l’occupazione napoleonica in questa piazza trovò la propria “collocazione” la ghigliottina. Stando alla tradizione la prima testa a cadere fu quella di una cappellaia che nelle vicinanze di quella piazza aveva letteralmente fatto fuori il marito, un vecchio spilorcio: forse da sola avvelenandolo oppure con l’aiuto di aiutanti giovani complici che fecero da sicari uccidendo l’uomo e legando la donna per fugare dubbi su chi era la mandante.

Stiamo parlando della Bela Capléra. Per molto tempo si pensava che la donna, di cui mai si è saputo il nome vero, gestiva la sua bottega di cappelli nella prossimità di Piazza Carlina (allora Place de la Liberté) ma di vociferava che fosse una adultera e presa dal desiderio di rifarsi una nuova vita decise di eliminare il proprio marito. Le indagini furono rapide e lei condannata alla pena capitale per un tristissimo primato, essere, appunto, la prima persona ghigliottinata. Recentemente il fatto che si è riusciti ad accedere agli atti processuali di quel periodo porterebbero a identificare la Bela Capléra in Maria Brel, una brunetta ventitreenne che fu accusata di tentato avvelenamento ai danni di una collega, non cappellaia ma, bensì, esercente la professione più vecchia al mondo.

Sta di fatto che eravamo agli inizi del 1800 (o forse proprio il primo anno del secolo nuovo), nell’e-book pubblicato da chi ha visto gli atti processuali, si afferma che la data fosse il 28 febbraio 1807, quando la lama calò sul collo della Bela Capléra. Ora è da interpretare se fu la prima vittima della ghigliottina oppure se fu la prima donna che perse la testa per opera di quello strumento di giustizia.

Prima dell’esecuzione sembrerebbe che la bella donna strinse un patto con il boia (parrebbe un certo Gaspare Gavazza detto Gasprin) o, a detta di un testimone, con il medico che seguiva le esecuzioni.

Torino, Piazza Carlina (foto Fabrizio Capra)

Il boia (o il medico) voleva sapere se un condannato sentiva ancora dolore dopo che gli era stato tagliata la testa e la Bela Capléra promise di dargli una risposta ma ci è dato sapere in cambio di che cosa. Sta di fatto che si racconta che una volta mozzata la testa il boia la raccolse, la schiaffeggio come era usanza per umiliare il condannato e mostrandola ai presenti si accorse che dai suoi occhi sbarrati uscivano copiose lacrime. Il testimone di prima, invece, sostiene che il patto sia stato fatto con il medico, pertanto dopo essere stata schiaffeggiata, gli occhi si girarono verso il dottore e solo allora si misero a lacrimare.

Il corpo, dopo essere stato lasciato alla pubblica visione come monito per i torinesi sulla fine che facevano coloro che trasgredivano la legge, venne ricomposto alla Cavallerizza, trasformata in obitorio, per poi essere tumulato nel Cimitero di San Pietro in Vincoli dove venivano seppelliti tutti i condannati a morte. Che sia stata la prima giustiziata o solo la prima donna ghigliottinata, che abbia ucciso il marito o tentato di avvelenare una prostituta come lei, sta di fatto che da allora il suo fantasma senza testa sembrerebbe che vaghi per la piazza.La voce popolare dice che il fantasma di questa donna si manifesta ancora oggi, oltre che nella casa dove viveva, nella piazza per il rimorso dell’azione che aveva compiuto o alla ricerca dei lunghi capelli tagliati prima dell’esecuzione. Sarà un fantasma vero o uno inventato? Potrebbe essere interessante incontrarla e, magari, farci raccontare come sono andati realmente i fatti, sempre ammesso che abbia ritrovato la testa.

Fabrizio Capra


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