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Torino misteriosa: Palazzo Barolo e il fantasma di Elena Matilde

Mai casa fu tanta funesta… un evento che ha sfiorato la tragedia, una donna suicida il cui fantasma ancora oggi vaga per le stanze del palazzo e un notissimo personaggio che lì lascio le sue mortali spoglie.

Come al solito procediamo per ordine.

foto di Vittorio Destro

Stiamo scrivendo di Palazzo Barolo (più propriamente Palazzo Falletti di Barolo), dimora patrizia situata al numero 7 di via delle Orfane; il palazzo attuale risale alla fine del Seicento, rimaneggiato da Gian Francesco Baroncelli come ristrutturazione della casa che fu del conte Giacinto Ottavio Provana di Druent “primo scudiero” e “gran guardarobiere” di Vittorio Amedeo di Savoia che lo fece erigere a inizio del medesimo secolo.

Nel palazzo abitarono l'unica figlia del conte Giacinto Ottavio, Elena Matilde, nata nel 1674, con il marito, marchese Gerolamo IV Gabriele Falletti di Barolo, suo cugino di terzo grado, il quale, con i tre figli nati nel matrimonio, lasciò il palazzo e la moglie quando il suocero non assegnò alla figlia la ricca dote già promessa al momento del matrimonio.

A 26 anni, Elena Matilde si suicidò gettandosi dalla finestra della sua camera.

Nel 1727 passò in eredità a Ottavio Giuseppe, primogenito di Elena e Gabriele Falletti di Barolo, che intorno alla metà del Settecento ne affidò la modifica a Benedetto Alfieri per adeguarlo al gusto rococò. Il palazzo fu la residenza della famiglia Falletti fino ai coniugi Tancredi e Giulia di Barolo con i quali si estinse la casata. Essi lasciarono il palazzo alla fondazione Opera Pia Barolo.

Ricordiamo ora la triste storia di Elena Matilde.

foto di Vittorio Destro

Il palazzo è stato teatro di ben due eventi che contribuiscono a dare quell’alone nero che ha contraddistinto nei secoli la fama di Torino, ed entrambi ebbero come protagonista la figura di Elena Matilde.

Già il matrimonio, avvenuto nel 1695 nella chiesa di San Dalmazzo, vide il suo inizio sotto nefasti auspici, nonostante i preparativi delle nozze fossero stati accurati e lunghi.

Elena volle indossare una preziosa collana di perle che aveva chiesto personalmente in prestito, secondo usanza, dalla duchessa di Savoia, Anna d’Orleans, moglie del Duca Vittorio Amedeo II.

Era in corso il gran ballo del ricevimento, quando senza preavvisi, l’enorme scalone a tenaglia collassò in uno scenario catastrofico. Per quanto incredibile non vi furono vittime o feriti, ma la collana di perle sparì come se si fosse volatilizzata.

La vicenda, che sembra avere le più fantasiose caratteristiche di un giallo, si risolse il giorno seguente dopo numerose ore di ricerca. Il gioiello apparve scavando tra le macerie e fu quindi restituito alla duchessa.

Sul matrimonio tuttavia gravava già un’ombra oscura.

Non passarono molti anni e il padre di Elena Matilde, il conte Giacinto Ottavio, ordinò di fatto la fine del matrimonio, costringendo la donna a ritornare al palazzo.

Il motivo di questo volere pare fosse dovuto all’impossibilità del genitore di pagare la dote, all’epoca fondamentale per ogni unione matrimoniale.

I debiti di gioco del marchese erano ormai una piaga che si allargava fino al triste destino della figlia.

La donna non poté più vedere il marito e i tre figli, fatto che la portò velocemente a una profonda depressione e alla conseguente pazzia: il suo dolore culminò la mattina del 24 febbraio 1701, quando si lanciò dal piano nobile dell’edificio in una Torino che si svegliava lentamente silente e immobilizzata da una nevicata storica.

foto di Giusy Virgilio

La coltre di neve non bastò ad attutire la violenza dell’impatto col terreno.

Fu chiaro fin da subito, a chi cercò di soccorrere Elena Matilde, che non sarebbe sopravvissuta a lungo.

Venne portata all’interno del palazzo e adagiata sulla panca di fredda pietra accanto al portone d’ingresso, ancora oggi la si può vedere sul lato sinistro dell’atrio, e qui spirò.

…Essendovi molta neve in terra si è gettata a basso da una finestra del primo piano del palazzo di Monsù Druent una figliola moglie del S.r marchese di Castagnole in camiggia non avendo vissuto più di un quarto d’hora, e questo a causa che Monsù di Druent non voleva che la medema andasse a cohabitare con il d.o S.r marchese di Castagnole.

Il palazzo cambiò nome e nacque anche la leggenda del fantasma di Elena che vaga in modo irrequieto, con la camicia imbrattata di sangue, dall’atrio alle stanze del piano superiore alla ricerca del marito e dei figli. Altri affermano che il fantasma non sia mai visibile ma nelle notti di luna piena si possono udire dei passi che partono, sempre, dalla panca in pietra dove fu adagiato il corpo e dove spirò fino alla stanze del piano nobile. Inoltre sotto ogni finestra è scolpito un angelo e quello che è posto sotto la finestra dalla quale si sarebbe lasciata andare nel vuoto la sfortunata Elena Matilde pare presenti sul suo volto una smorfia di disperazione.

Il Palazzo

Fu costruito ad inizio Seicento in una zona strategica per i futuri ampliamenti della capitale sabauda: dimora nobiliare che fu aggiornata secondo il gusto dell’epoca tra il 1692 e il 1720, quando il conte Giacinto Ottavio Provana di Druent (1652-1727), membro di una delle famiglie strettamente legate alla Corte, ne affida l’ampliamento e il riallestimento all’architetto Gian Francesco Baroncelli.

foto di Giusy Virgilio

Questi coordina maestranze e artisti di chiara fama, attivi nei principali cantieri dell’epoca: degno di nota è lo scalone a forbice, che Baroncelli va a posizionare al centro del fabbricato e non a lato, come di solito si faceva nei palazzi nobiliari seicenteschi.

Nel 1743 il marchese Ottavio Giuseppe Falletti di Barolo (1696-1747), primogenito dell’unica figlia di Ottavio Provana, Elena Matilde, commissiona importanti lavori di completamento e restauro dell’edificio al Primo Architetto Regio Benedetto Alfieri (1699-1767), che aggiorna in chiave rococò alcuni ambienti del palazzo.

Alfieri dirige i lavori di decorazione dell’atrio e della facciata su via delle Orfane e del piano nobile, in particolare il salone d’onore e gli ambienti situati nel tratto di edificio a sinistra dello scalone.

Il marchese Carlo Gerolamo, primogenito di Ottavio Giuseppe, acquista alcuni stabili attigui al palazzo e tra il 1756 e il 1758 fa costruire una nuova parte di fabbrica, rivolta verso piazza Susina, e destinata a casa da reddito. Nel 1756 egli fa anche rimodernare l’appartamento verso ponente a piano terreno, destinato al figlio Ottavio Alessandro.

Quest’ultimo, nel 1780, incarica l’architetto Leonardo Marini (1737-1806) di un ulteriore riallestimento, che interessa soprattutto gli ambienti del piano terreno.

foto di Vittorio Destro

Tra il 1805 e il 1808 viene approntato, sotto la direzione dei pittori e scenografi Luigi Vacca (1778-1854) e Fabrizio Sevesi (1773-1837), un appartamento in stile impero nella parte a ponente del piano nobile per il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838) e sua moglie, Giulia Colbert di Maulévrier.

Per volontà di quest’ultima il palazzo ospita numerose iniziative filantropiche e, dopo la sua morte, diventa sede dell’Opera Pia Barolo, tuttora esistente.

Tra il 1906 e il 1907 viene decurtata l’ala sud dell’edificio per l’allargamento di via Corte d’Appello, comportando la perdita di una parte delle decorazioni alfieriane che connotavano gli ambienti interessati da questo intervento. Ultima nota: il 31 gennaio del 1854 nel palazzo morì Silvio Pellico.

Fabrizio Capra

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