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Borgone: passeggiando per il bosco alla ricerca dell'Idolo

Ecco un’indicazione. Svolto, percorro poche centinaia di metri sul lastricato e ci sono. Parcheggio l’auto in un piccolo spiazzo attrezzato per la sosta e scendo. Faccio pochi passi. Il sentiero sale leggermente piegando sulla destra. Improvvisamente sono avvolto in un mare color smeraldo. Un verde accecante. La vegetazione, possente, mi abbraccia e mi avvolge.

Tutto, d’incanto, è quiete, silenzio, pace. Si avverte, in modo assai forte, che questo è un posto magico. Sacro. Difficile anche da descrivere. È la prima volta che avverto una sensazione simile dentro un bosco. Evidentemente, questo, non è un bosco come gli altri.

Borgone, val di Susa, appena fuori paese, direzione San Didero. Ai piedi della montagna. Qui c’è un bosco assai particolare: il bosco del Maometto.

Il Maometto a cui ci riferiamo, è bene precisarlo subito, non ha nulla a che vedere col Profeta dell’Islam, ma è il nome con cui gli abitanti della zona chiamarono una particolare figura antropomorfa risalente, con ogni probabilità, al II/III Secolo d.C., incisa nella roccia, in un masso nel bosco in questione. Si pensa che il termine particolare per definire questo Idolo, scolpito secoli prima[1] della nascita del Profeta, sia stato dato dalle popolazioni locali successivamente alle incursioni saracene nelle Alpi Occidentali[2], avvenute in un periodo compreso tra il 921 e il 972 d.C.[3]

Continuo a camminare. La vegetazione è fitta. Secondo le indicazioni lette sulle guide, fra meno di mezzo chilometro dovrei arrivare alla radura con l’Idolo. Il sentiero continua dolcemente a salire. A ogni passo i pensieri negativi svaniscono. Inizio a sentire ogni minimo suono del bosco. Improvvisamente, di sfuggita, noto una cosa incredibile. Si trova sulla mia sinistra. A poche decine di metri dal percorso del sentiero.

Si tratta di un enorme masso adagiato in mezzo agli alberi come se fosse un gigantesco letto. Nel masso sono intagliate, in modo praticamente perfetto, quelle che, apparentemente, sembrerebbero essere due grosse macine. Più in là vedo la presenza di quella che, con tutta evidenza, appare essere una muraglia composta da pietre a secco.Sono davanti a delle strutture megalitiche. La muraglia ha una forma irregolare e non riesco a distinguere, anche per la vegetazione, il suo possibile percorso. A tratti sembra si inoltri su per la montagna, a tratti appare avvolgersi su sé stessa come se avesse andatura circolare. Personalmente mai viste strutture del genere del genere in Piemonte. La mia mente fa subito un’associazione. Analoghe costruzioni megalitiche le ho viste nel mio Salento, nei pressi dei paesi di Giuggianello, dove esistono dei massi giganteschi assai simili a quelli presenti nel bosco del Maometto, chiamati Massi della Vecchia[4], e di Giurdignano, conosciuto come il “giardino megalitico d’Italia”[5]. Penso. Se le varie, simili, strutture, a più di mille chilometri di distanza, fossero state prodotte, in tempi ancestrali, dalla medesima Civiltà diffusa in tutta la Penisola?

L’area è piena di anfratti, resti di mura, sentieri che si diramano in varie direzioni. Secondo varie fonti lì si sarebbero svolti, in epoche remote, rituali legati al ciclo delle stagioni.[6]

Ritorno verso il sentiero e proseguo sempre in lievissima salita. Dopo poche centinaia di metri si apre una radura. Sulla parete che mi si para davanti vedo dei fori scavati nella roccia in modo perfetto. Sono delle coppelle? Sembrerebbe che la disposizione di questi fori formerebbe la figura della Costellazione di Cassiopea[7] .Sulla mia destra, quasi alle spalle, ecco l’Idolo. Il Maometto.

La figura dell’Idolo è posta dentro un tempietto inciso nella roccia. Forse ai piedi della figura è scolpito un cane. Sul frontone triangolare del tempietto, in passato, fu rilevata una scritta, oggi praticamente illeggibile. La scritta, secondo varie fonti,sembrerebbe essere una dedica alla Divinità da parte di un tale Lucius Vettius Avitus[8]. Quale sia la Divinità rappresentata le ipotesi sono diverse. Secondo alcuni si tratterebbe del Dio Silvano, altri propendono per Giove Dolicheno, invece c’è chi vedrebbe nel Maometto il Dio italico Vertumnus[9]. L’intera area è Sacra.

Mi soffermo a osservare la figura. Nuovamente si fa viva la incantevole e assai difficile da descrivere, emozione che avevo provato entrando nel bosco. La mente inizia a divagare sul significato profondo e sulla sacralità di quel luogo. Poi si perde. Entrano in gioco altre percezioni. Molto più forti. Improvvisamente mi sento come fuori dal tempo. È bellissimo.Tutt’intorno c’è Vita. Vigorosa. Pulsante. La si percepisce. Si entra, piano, piano, in vibrazione con la Terra. Con la Grande Madre. Provo la stessa, magnifica, sensazione che provavo da bambino quando appoggiavo la testa fra le braccia di mia Mamma. Amore e protezione.

Un suono improvviso, brutto, metallico, innaturale, rompe l’incanto. Mi riprendo un istante come chi, sognando profondamente, viene bruscamente svegliato. Si tratta del mio cellulare. Ho fatto l’errore di lasciarlo acceso. Mi reclamano. Devo rientrare. Lascio il Maometto, le strutture megalitiche, le mura, promettendo a me stesso di ritornare lì. Perché lì c’è Qualcosa di ancestrale e bellissimo che le parole sono insufficienti a spiegare. Gli antichi Abitanti della Valle lo avevano compreso, per questo, nei secoli, frequentarono questo luogo.

Arrivo all’auto. Salgo e controllo l’orario. Ora capisco perché mi hanno chiamato al cellulare. Mi avranno dato per disperso. Sono passate più di due ore e mezzo. Pazzesco. Ho avuto la sensazione di essere stato lì non più di dieci/quindici minuti.

Ci si perde in sé stessi, passeggiando nel bosco.

Roberto Maggio


[1]Cfr. Il Maometto in www.comune.borgonesusa.to.it

[2]“Le incursioni dei Saraceni che avevano il loro covo a Frassineto (l’attuale La GardeFreinet, nel dipartimento francese del Var) sono sì documentate nelle Alpi occidentali, ma tra il 921 e il 972 d.C.: all’epoca il bassorilievo era già stato scolpito da secoli. Il nome che ha acquisito nel tempo è da legarsi invece alla profonda impressione lasciata nelle popolazioni locali da queste scorribande, che ha portato ad ingigantire la portata dell’impatto sul territorio e a utilizzare l’aggettivo “saraceno” per indicare qualcosa di “strano” o “diverso” (ci sono nelle Alpi Marittime molti esempi di “torri saracene” e “grotte del saraceno”). Il bassorilievo quindi è considerato enigmatico da ben prima che dilagasse l’attuale moda dei “luoghi misteriosi”, tratto da, In viaggio con gli scettici: il bosco del Maometto a Borgone di Susa (Piemonte), in https://www.queryonline.it/2016/04/27/in-viaggio-con-gli-scettici-il-bosco-del-maometto-a-borgone-di-susa-piemonte/

[3] Aldo Angelo Settia; I saraceni sulle Alpi: una storia da riscrivere, in «Studi Storici», 28-1-1987, pp. 127–143. Cfr. http://www.jstor.org/stable/20565745

[4] Cfr. http://www.salogentis.it/2012/02/02/i-massi-della-vecchia-a-giuggianello/

[5] Cfr. http://www.salogentis.it/2011/11/15/quattromacine-una-stonehenge-italiana-intorno-al-dolmen-stabile/

[6]Cfr. http://www.luoghimisteriosi.it/piemonte/maometto.html

[7] Ibidem

[8] Si veda foto in allegato

[9]“Teodoro Levi ipotizzò il carattere dedicatorio dell’opera e avanzò un’identificazione della figura con il dio italico Vertumnus, legato alla tradizione agricola e al rinnovamento stagionale. A sostegno di ciò ci sarebbe la presenza del cane che spesso accompagnava questa divinità e alcune lettere dell’iscrizione ...E…TU…NUS che richiamano il nome del dio. Antonio Ferrua invece, senza abbandonare la sfera agreste, vi identificava il dio Silvano, anch’esso ritratto spesso con il cane. Alcune lettere troverebbero corrispondenza con altre incisioni dedicatorie.

Carlo Carducci propugnò per Giove Dolicheno a cavallo di un toro.”, in Bosco del Maometto, https://exploring3.wordpress.com/2009/11/25/bosco-del-maometto/

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