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The Wild Boars: Stranger in a familiar land

Con estremo piacere reincontro Andy dei The Wild Boars e bevendo una birra mi faccio raccontare del loro ultimo album, intitolato Stranger in a familiar land. Per chi si fosse perso l’articolo che parlava di loro i Wild Boars sono un gruppo rock/folk di Torino che si ispira alla musica country e folk americana e irlandese.

Ci eravamo lasciati a ottobre, dopo il grande concerto di Piazza Castello quando l’album era in fase di composizione ma qualche idea c’era già su come avrebbe dovuto suonare, finalmente dopo diversi cambi di line-up hanno ora trovato la loro formazione stabile che gli ha permesso di trovare un sound più amalgamato ed omogeneo, questa volta non ci sono chitarre elettriche, quindi in un certo senso è un album più “acustico”. Reduci da una serata di presentazione all’Ape Wine Bar di Alba mi raccontano che stanno pensando di realizzare anche un videoclip di un singolo dell’album, il loro pezzo preferito è sicuramente Coward’s jig, la traccia numero 3 del disco, perché? Semplicemente perché è venuto esattamente come volevano che venisse il che li ha resi molto soddisfatti del lavoro fatto,oltre a vedere la preziosa collaborazione del violinista Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Rambles, ma molti consensi ha anche riscosso il brano The Run.

Questa volta metto in primo piano il mio pensiero anche grazie allo speciale invito di Andy e al suo regalo , è la prima volta che re-intervisto un gruppo e lo faccio con molto piacere. Uno dei miei pezzi preferiti è Fear is nothing, una ballata country, delicata come una potente carezza,luminosa come il sorgere di qualcosa di nuovo, a volte in suspance come un’attesa paziente, ispirata da un paio di eventi personali speciali, la nascita di un figlio.

Non essendo un’esperta di musica country ma molto affascinata da essa, ho apprezzato questa inusuale deviazione dalla più nota goliardia che caratterizza il genere per i più. Fear is nothing non è l’unica ballata, anche If I ever è decisamente un pezzo riflessivo sulla vita, gli errori del passato e le speranze per il futuro, accompagnato da un suono che ti culla, così come l’ultimo pezzo, Stranger in a familiar land, una canzone interamente strumentale, ottimo epilogo del disco .

Ma quell’allegria è sempre presente, nei primi due pezzi ad esempio si parte in quarta con un sound coinvolgente e un ritmo scatenato, Never Felt This Good e Northbound sono un classico esempio di ciò che i ragazzi amano e con You know who you are si torna a ballare instancabilmente, con qualche sempre più raro richiamo blues ma anche un po’ di Rock ‘n’ roll anni ‘50/’60. Ma in quest’album non c’è spazio per gli stereotipi, a partire dall’idea della copertina partorita in una sola serata, niente richiami scontati al country, niente cappelli da cowboy e niente cactus ma una piccola dedica in miniatura a ciascun pezzo che compone il disco, She’s the sunshine ad esempio è rappresentata da un sole oscurato per metà sul “volto”, mentre Losing Yer Rag ha in un musicista che cerca di rompere il suo banjo la sua immagine. Omogeneità dei suoni sì dicevamo, ma tanta ricchezza invece da parte dei testi, proprio perché la composizione è stata letteralmente a cinque mani, tutti hanno scritto i testi e le musiche con una maggiore interazione rispetto al disco precedente.

I ragazzi sono molto legati alle radici del loro genere ma in quest’album hanno cercato di prendere il meglio del passato, e trasformarlo in qualcosa di più contemporaneo ed attuale. Impresa difficile strappare una polemicità, una nota negativa dalla bocca di Andy, sempre propositivo ed entusiasta, ma questa volta riesco a farmi dire queste parole sincere, l’espressione di un desiderio più che di una critica: "La nostra musica è fatta per battere le mani, muoversi, saltare e divertirsi, sarebbe bello ci fossero più locali come in UK dove lo spazio fisico dedicato al pubblico è maggiore, per potersi muovere liberamente, sarebbe ottimo per gli spettatori ma anche per noi, quando vendiamo qualcuno che balla e si diverte sappiamo di aver fatto centro”. I loro live sono accompagnati anche da qualche cover di pezzi che amano e che li hanno in qualche modo influenzati come Folsom Prison Blues di Johnny Cash, Never Can Tell di Chuck Berry, For the turnstiles di Neil Young e Come Together dei Beatles. Tra le nuove date spicca sicuramente quella del 21 luglio al Buscadero Day a Pusiano in provincia di Como, una due giorni di festival internazionale con la presenza di artisti di generi diversi accomunati dalle influenze del folk, country, bluegrass americano, un onore per loro suonare sullo stesso palco di Paul Young.

FORMAZIONE

Andy Penington: voce, banjo e mandolino

Simone Ubezio: basso e voce

Maurizio Spandre: fisarmonica , tastiera e voce

Roberto Zisa: chitarra acustica

Roberto Tassone: batteria

CONTATTI

Roberta Tetto

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