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L'11 e il 12 novembre "LUNARIA" al Teatro Erba


Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dopo aver conquistato il pubblico del teatro Erba con Maruzza Musumeci, Pietro Montandon è ora protagonista di uno dei testi più ricchi di suggestione della drammaturgia contemporanea e insieme un capolavoro della letteratura del Novecento: Lunaria, favola scritta da Vincenzo Consolo, vincitrice del Premio Pirandello, realizzata in prima nazionale da Ardini - Panni nel 1986 e successivamente realizzata in molte versioni in Italia e all’estero. In una Palermo di fine Settecento, una mattina il Viceré si sveglia madido e tremante: ha sognato che la Luna è caduta e, una volta raggiunto il terreno, si è spenta, lasciando nel cielo un buco nero...

Lunaria è in scena al Teatro Erba di Torino lunedì 11 e martedì 12 novembre alle 21 per il cartellone di Grande Prosa. La regia è di Daniela Ardini. I costumi sono firmati Maria Angela Cerruti e le scene da Giorgio Panni e Giacomo Rigalza.

Così Cesare Segre: “Uno dei lavori più mirabili di Consolo, Lunaria (1985). In esso c’è un abbandono pieno all’invenzione. Invenzione tematica e invenzione formale. Il libro non è certo un romanzo, ma appartiene piuttosto a un “genere che non esiste”, a un conato di teatralità divertita fra entremés alla spagnola e teatrino delle marionette.

Si sa che molta dell’elaborazione di Consolo è “letteratura sulla letteratura”. Ebbene, in Lunaria la falsariga è costituita da un racconto di Lucio Piccolo, L’esequie della luna (1967), con cui Consolo si pone felicemente in gara, non dimenticando naturalmente Leopardi. Voglio evocare un aneddoto sintomatico. Quando Consolo mi mise tra le mani il meraviglioso libretto, e io mostrai di riconoscerne alcune fonti, invece di chiudersi nell’enigma mi procurò la fotocopia dei testi cui più si era ispirato, lieto che io ripercorressi i suoi itinerari. Mai come in questo caso la letteratura cresce su se stessa, e se ne vanta. Il lettore deve partecipare, come in un gioco, all’invenzione dello scrittore”.

La storia. In una Palermo di fine Settecento, una mattina il Viceré si sveglia madido e tremante: ha sognato che la Luna è caduta dal cielo e, una volta raggiunto il terreno, si è spenta, lasciando nel cielo un buco nero. La giornata del Viceré prosegue nella sala delle udienze dove arriva Messer Lunato, uno strambo viaggiatore in mongolfiera. A conclusione dell’udienza i ministri srotolano una mappa sulla quale sono indicati i possedimenti vicereali sul quale il Viceré fa scorrere il suo scettro che inspiegabilmente si impunta su una estrema Contrada senza nome.

A questo punto la scena si apre sulla Contrada senza nome, dove alcuni villani guardano sorpresi la Luna che sta per sorgere e che appare insolitamente grande e colorata, in parte, di rosso scarlatto. Dopo un po’ la Luna ritorna ad essere bianca e luminosa, ma comincia a creparsi e falde di luna cominciano a piovere a terra. Un Caporale ubriaco intima ai villani di raccogliere i cocci di Luna e di metterli in una giara, quindi ordina ad uno di loro, Mondo, di andare dal Viceré per riferire l’accaduto e chiedere istruzioni sul da farsi.

La scena torna quindi a Palazzo Reale, dove è riunita l’Accademia dei Platoni Redivivi per disputare circa la malattia, lo sfaldamento e la conseguente caduta sub specie pluviae della Luna. Tra loro arriva Mondo che racconta l’accaduto, portando con sé una falda di Luna come prova. Posto il coccio in uno scrigno, Mondo viene congedato e ciascuno degli accademici esprime la propria opinione sull’accaduto.

Finita la disputa, nell’Accademia deserta dalle ante di un armadio esce il Teatro delle Bizzarríe: geni, fate, folletti, astri, pianeti, allegorie; quindi i personaggi fantastici spariscono a mano a mano, lasciando solo la Luna. Nell’epilogo si torna nuovamente nella Contrada senza nome, dove uomini e donne vestiti di nero seppelliscono i resti della Luna nella fontana e, di lì a poco, assistono alla ricomparsa in cielo della Luna che, però, tra i due corni della falce mostra una macchia nera.

Giunge allora il Caporale il quale, deluso di ritrovare la Luna al proprio posto, inveisce contro i villani; viene però interrotto dal sopraggiungere del Viceré, il quale sale una scala a pioli e incastra nella Luna il pezzo mancante, decretando che da allora in poi la Contrada senza nome si chiamerà “Lunaria”.

La lingua e lo stile. Dal punto di vista linguistico Lunaria accosta stili diversi: dal narrativo al dialogico, dal lirico-poetico al linguaggio scientifico o pseudo scientifico degli usato dagli Accademici. Inoltre Lunaria, pur nella sua brevità, si configura come un crogiolo di lingue e dialetti. Sono facilmente riconoscibili l’uso dell’italiano nei suoi diversi registri: da quello accademico-scientifico, a quello visionario, mimetico, letterario, lirico, popolare; l’uso del siciliano, del dialetto gallo-italico, dello spagnolo di Doña Sol e degli inquisitori, del latino nonché di latinismi vari. Il Viceré ricorre saltuariamente a tutti questi idiomi, compreso il dialetto galloromanzo, ossia il sanfratellano, tanto che a Mondo risponde parlando nella sua stessa lingua.

Interi brani di poesia e versi “nascosti” compaiono in Lunaria. Lo stile si avvicina alla poesia come mai prima era avvenuto: il testo pullula di anafore, allitterazioni, rime interne. Si assiste così a una sorta di tendenza mimetica per cui al tema dell’intima necessità per il mondo della poesia (simboleggiata dalla Luna) corrisponde uno stile che si fa poesia. Il linguaggio si presenta talvolta oracolare, la forma espressiva risulta nervosa, essenziale: la parola si fa incantatrice e trascina il lettore nella “poesia” della vita. Paola Baratter, Lunaria [di Vincenzo Consolo]: il mondo salvato dalla Luna, in “Microprovincia” (Stresa), n. 48 (2010), pp. 85-93. Ma Lunaria è sempre una favola, la favola della luna, che vuole far sognare il pubblico nell’anno che celebra la “conquista” umana dell’astro poetico. Per Consolo la sua caduta “rappresenta l’allontanamento della poesia dal mondo”, poesia che è invece illusione necessaria contro la precarietà della storia e della vita

(Scende la luna; e si scolora il mondo, aveva scritto Leopardi ne Il tramonto della Luna).

L'attore PIETRO MONTANDON, nato artisticamente al Teatro Stabile di Catania, ha lavorato con Lamberto Puggelli, Armando Pugliese, Giuseppe Patroni Griffi, Cesare Lievi, Antonio Calenda. Per lunghi anni ha collaborato con la compagnia Mummenshanz in spettacoli che hanno girato tutto il mondo. Con Lunaria Teatro è straordinario interprete di Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri e de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello.

Repliche Lunaria: al Teatro Erba (Torino, corso Moncalieri 241):

lunedì 11 e martedì 12 novembre ore 21

Prezzi Lunaria: p. unico € 22,50 + 1,50 prev - ridotto (under 26, over 60) € 16,50 + 1,50

ridotto speciale (abbonati, convenzionati e gruppi) € 15 + 1

Informazioni e acquisto biglietti: Biglietterie Torino Spettacoli

TEATRO GIOIELLO - Torino, v.Colombo 31 - tel 011/5805768;

TEATRO ERBA - To, c.Moncalieri 241 - tel 011/6615447

TEATRO ALFIERI - To, p.Solferino 4 - tel 011/5623800 - www.torinospettacoli.it - online: www.ticketone.it

Alessandra Bagini

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